Secondo l’International Chamber of Commerce, che ha svolto un’indagine finalizzata ad individuare le tendenze del mercato della contraffazione, in cima alla lista dei paesi dove si realizzano prodotti contraffatti e dove c’è una forte disattenzione al tema della protezione della proprietà intellettuale vi sono la Cina e la Russia. A seguire India, Brasile, Indonesia e Vietnam.
Che in Cina l’Intellectual Property non fosse proprio di casa si sono accorti da tempo molti degli imprenditori italiani, che si trovano frequentemente a fronteggiare “copie cinesi” dei propri prodotti a distanza di breve tempo dal loro primo lancio sul mercato.
Quello che è meno noto invece è che la Cina sembra avere un rapporto ambivalente verso il tema della proprietà intellettuale.
Da un lato vi è la Cina che ignora i diritti di proprietà intellettuale altrui e realizza il più importante mercato al mondo della contraffazione.
Dall’altro lato – forse consapevole di non potere ignorare le regole di tutela dell’IP a tempo indeterminato – vi è una Cina che sta lanciando alla comunità internazionale segnali indicativi di una volontà di “redenzione” verso il rispetto delle esclusive industriali altrui.
E’ infatti di pochi mesi fa la dichiarazione del Ministro del Commercio cinese secondo cui si sarebbe intrapresa un’opera di revisione di tutta la disciplina IP del paese, con l’emanazione di 17 nuove leggi e regolamenti che serviranno a garantire una maggiore protezione della proprietà intellettuale. E ancora, nel marzo 2006 il governo cinese ha dichiarato che nel corso dell’anno precedente sarebbero state messe in carcere quasi 2.700 persone per aver commesso atti di pirateria o contraffazione, il 24 % in più rispetto al 2004.
Un ultimo dato sulla Cina, recentemente emerso in occasione dell’incontro WIPO di Ginevra del 30-31 gennaio scorsi, fa riflettere: i depositi di brevetti da parte di cittadini cinesi o residenti in Cina sono aumentati significativamente nel corso degli ultimi anni, tant’è che risultano ad oggi registrati all’incirca 66.000 brevetti all’Ufficio Brevetti cinese.
Il dilemma che sorge da questo dato è evidente. Potrebbe essere che effettivamente i cinesi abbiano deciso di “passare dall’altro lato della barricata”, investendo in Intellectual Property e sviluppando propri prodotti originali.
Potrebbe anche essere che – come accade nei casi di registrazione di brevetti senza preventiva analisi di validità – la maggior parte dei brevetti registarti in Cina siano carta staccia, siano cioè privi del necessario requisito della novità e siano anticipati da brevetti registrati in altri paesi. Sarebbero allora queste registrazioni un ostacolo in più verso la tutela brevettuale di chi è legittimo titolare dei brevetti anteriori.